Tra le circa 20.000 pergamene custodite all’interno dell’Archivio dell’Abbazia di Montecassino, una delle più note è senza dubbio il Placito di Capua, o Cassinese, del marzo 960 d.C.
Considerato una delle prime testimonianze del volgare italiano, il Placito è un atto giuridico in scrittura beneventana e risale al periodo in cui la comunità cassinese, dopo l’assenza dal monastero dovuta alla distruzione saracena, rientrò a Montecassino.
Rodelgrimo di Aquino, e Aligerno, abate di Montecassino, rivendicano entrambi la proprietà di due appezzamenti di terreno nella contea di Aquino. La sentenza è emessa da Arechi, giudice della città di Capua.
Il volgare italiano è usato, per la prima volta quindi, per trascrivere nella sentenza in latino le parole dei testimoni, Teodemondo, Mari e Gariperto del monastero cassinese e la formula è la seguente:
«sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte sancti benedicti»
ossia “Io so che quelle terre, entro i confini che qui descrive, le ha possedute per trenta anni la parte [l’abbazia] di san Benedetto”.
Nell’Archivio dell’abbazia di Montecassino sono conservati altri placiti, di anni successivi, in lingua latina con periodi in volgare. Si tratta ancora una volta di documenti giuridici- indicati come placiti cassinesi – relativi a controversie su beni di proprietà dell’abbazia di Montecassino nelle zone di Capua, Sessa Aurunca, Teano.