Cesario di Terracina è come personaggio storico fuori discussione: abbiamo la certezza che morì durante l’era delle persecuzioni. Se la storicità del martire è sicura, la sua biografia è affidata invece a una Passio pervenutaci secondo quattro redazioni: “minima, parva, maior, maxima”, elaborate nei secoli compresi entro il primo millennio.
Cesario nacque nell’Africa settentrionale, precisamente a Cartagine, verso l’85 d. C.. Era figlio di un mercenario e di una nobildonna che, secondo la tradizione, discendevano dalla “Gens Julia”, la rinomata famiglia Giulia. I genitori decisero di chiamarlo Cesario per dimostrare la loro devozione ed appartenenza all’imperatore, denominato anche Cesare. I suoi avi si stanziarono a Cartagine durante la riorganizzazione dei territori africani da parte di Giulio Cesare, il quale proprio in quella città fondò una colonia romana in cui si erano trasferiti dei cittadini romani alleati con la madrepatria e quindi sotto il controllo di Roma. La sua famiglia si convertì al cristianesimo per la fervente predicazione degli apostoli di Gesù nella zona.
Il giovane Cesario, dopo aver compreso i contenuti della dottrina cristiana, rimase molto affascinato dalla figura di Gesù e dal suo messaggio di salvezza. Volendo diventare tutt’uno con Cristo, prese il voto del diaconato. Sorretto da questa fede, con grande meraviglia dei suoi genitori, rinunziò al suo patrimonio e si dedicò all’evangelizzazione. Superata la fase dell’adolescenza, Cesario decise di partire, con i suoi compagni, alla volta di Roma, dove il Cristianesimo era una religione illecita punibile con le massime pene. La nave tuttavia naufragò – a causa di una furiosa tempesta – sulle coste di Terracina, città situata nell’agro pontino, distante un centinaio di chilometri da Roma. Cesario decise di fermarsi in questa città in quanto era rimasto fortemente impressionato dal divario tra ricchi e poveri: i malati, gli oppressi e i moribondi erano lasciati ai margini della città, mentre al suo interno la nobiltà viveva nel lusso più sfrenato. Cesario rimase nascosto in città, nella casa di un cristiano, il monaco Eusebio, servo di Dio: fu accolto nella comunità cristiana formata da Epafrodito, uno schiavo di origine greca, primo vescovo di Terracina nella metà del I sec. d. C..
Cesario ed il suo maestro spirituale, il presbitero Giuliano, iniziarono la loro opera di evangelizzazione a Terracina: imperniarono la loro missione sulla predicazione, sulla conversione e sulla formazione di comunità cristiane. L’imperatore romano Marco Ulpio Nerva Traiano, regnante dal 98 al 117 d.C., operò una persecuzione contro i cristiani: ordinò di punire chiunque si fosse rifiutato di sacrificare agli idoli.
Secondo la tradizione, in quell’epoca a Terracina vi era un pontefice di nome Firmino, sacerdote dei falsi dei. Egli approfittò dello stato di ignoranza in cui erano immersi i suoi cittadini circa il vero Dio per convincere molti giovani a diventare famosi con un’azione coraggiosa e sanguinaria: il primo gennaio era consuetudine celebrare una festa in onore di Apollo, durante la quale un giovane, il più bello e nobile della città, doveva sacrificarsi per ottenere la salvezza dello Stato e degli imperatori. L’antica usanza prevedeva di prendersi cura del giovane per sei o otto mesi, nutrendolo con cibi prelibati ed esaudendo tutti i suoi desideri, ma alla fine di quel tempo – dopo essere stato ornato con magnifiche armi e fatto montare su un cavallo riccamente bardato – doveva salire fino alla sommità del monte sovrastante la città e precipitarsi nel mare per assicurare al suo nome fama e gloria immortale. Successivamente il suo corpo era bruciato e le sue ceneri venivano conservate con grande onore nel tempio di Apollo. Quell’anno il giovane destinato al sacrificio umano si chiamava Luciano.
Quando Cesario vide per la prima volta Luciano, chiese ai suoi concittadini cosa significasse tutto questo splendore di cui questi era circondato, e riuscito a sapere la storia di questa antica tradizione, si indignò per questa barbarie. Arrivato il 1° gennaio, le autorità, i sacerdoti pagani ed i fedeli si riunirono nel tempio di Apollo per dare inizio ai riti: Luciano sacrificò una scrofa per la salvezza della città e dei suoi abitanti. Successivamente iniziava la processione che si snodava, con lenta solennità, verso il monte. Nonostante i vari tentativi di Cesario per interrompere questo crimine, i riti barbari vennero eseguiti: Luciano, cavalcando, salì fino alla cima della collina; si gettò nel vuoto con il recalcitrante cavallo e, schiantandosi contro le rocce, perì tra le onde insieme alla sua cavalcatura. Dopo questa sconvolgente visione, Cesario gridò: “Sventura allo Stato e ai principi che si rallegrano delle sofferenze e si pascono di sangue! Perché dovete perdere le vostre anime per le vostre imposture ed essere sedotti dagli artifici del demonio?” Il falso pontefice Firmino – udite queste parole del diacono – gli ordinò di tacere, lo fece arrestare dalle guardie di Terracina e portare nella pubblica prigione presso il Foro Emiliano. Otto giorni dopo l’arresto di Cesario, Lussurio, primo cittadino di Terracina, ed il pontefice Firmino fecero venire il console Leonzio (Consularis Campaniae), che allora si trovava nella città di Fondi, per iniziare il processo e giudicare il giovane. Quando il console arrivò, le guardie portarono nel Foro Emiliano il diacono Cesario; il magistrato si limitò semplicemente a constatare lo status di cristiano e il rifiuto di adorare gli dei. Leonzio decise di portare Cesario davanti al tempio di Apollo per ordinargli di sacrificare agli dei: se avesse rinnegato la sua fede cristiana e reso evidente ciò, offrendo preghiere ed incenso alle divinità pagane, sarebbe stato perdonato sulla base del suo pentimento e lasciato in libertà. Cesario fu legato al cocchio di Leonzio e, appena si avvicinarono al tempio, il diacono, circondato da soldati, esclamò una preghiera, terminata la quale il tempio crollò improvvisamente e sotto le sue rovine morì il pontefice Firmino.
Quando Lussurio ebbe appreso quest’ evento soprannaturale, si recò immediatamente a Terracina per consultarsi sul tipo di punizione da infliggere al giovane diacono. Tutto il popolo fu convocato nel tempio di apollo e Cesario cercò di spiegare ai presenti la falsità della loro religione che procurava la salvezza della loro patria attraverso l’effusione di sangue umano. Tutte le persone gridavano: “E’ un uomo virtuoso, e ciò che ci propone è giusto” ed allora Lussurio lo fece riportare nella prigione, dove fu lasciato un anno e un giorno. Trascorso un anno, il console decise di far condurre di nuovo l’accusato in Forum civitatis Terracinae: Cesario uscì dalla prigione emaciato dalla sofferenza della fame e spogliato dei suoi vestiti, ma coperto dai suoi lunghi capelli. Quando fu portato al centro del foro, chiese alla guardie di allentare le sue catene ed immediatamente si gettò a terra, adorò il Signore implorandolo di mostrare la Sua misericordia. In quel momento una luce celeste apparve e rischiarava tutto il corpo del giovane diacono. Vedendo ciò, il console Leonzio gridò a gran voce:“Il Dio che predica Cesario è veramente il Signore Onnipotente”. Si gettò ai piedi del diacono, si tolse la clamide, vestì Cesario e lo pregò, davanti a tutto il popolo, di battezzarlo. Cesario prese l’acqua e battezzò Leonzio nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, mentre il presbitero Giuliano – che si trovava lì presente – gli amministrò il Corpo e il Sangue del Signore Gesù Cristo. Dopo aver ricevuto questi sacramenti, Giuliano recitò una preghiera sulla sua testa, terminata la quale, Leonzio spirò. Il corpo di Leonzio fu salvato dalla moglie e dai figli, che gli diedero sepoltura in“Agro Varano”, nelle vicinanze della città, il 30 ottobre.
Lo stesso giorno della sepoltura di Leonzio, Lussurio fece arrestare il presbitero Giuliano e pronunciò la sentenza di morte: ordinò che Cesario e Giuliano fossero chiusi in un sacco e gettati nel mare. Tre giorni più tardi – poco prima di essere condannato – Cesario disse a Lussurio: “L’acqua, nella quale sono stato rigenerato, mi riceverà come suo figlio che ha trovato in essa una seconda nascita: oggi mi renderà martire con Giuliano, mio Padre, che una volta mi fece cristiano. Quanto a te, Lussurio, oggi stesso morirai con un morso di un serpente, affinché tutti i paesi sappiano che Dio vendicherà il sangue dei suoi servi, e delle vergini che facesti perire tra le fiamme”. Era il 1° novembre dell’anno 107 d.C.: i condannati furono chiusi in un sacco e precipitati, secondo la tradizione, dall’alto della guglia del “Pisco Montano” nel mare, dove morirono per soffocamento. Lo stesso giorno del martirio, le onde riportarono i corpi di Cesario e Giuliano sulla riva, dove furono trovati accanto a quello di Lussurio; si avverò quindi la profezia del diacono. Dopo l’esecuzione della sentenza dei nostri martiri, il primo cittadino si stava infatti recando presso la sua casa di campagna, dove voleva cenare, e per far prima aveva preso la strada che costeggiava la riva; mentre passava sotto un albero, un serpente cadde sulla sua schiena e scivolò tra il collo e la sua tunica, gli lacerò i fianchi con dei morsi crudeli e, attraverso il petto, gli penetrò fino al cuore iniettando il veleno nel suo corpo. Lo sfortunato cadde e il suo corpo si gonfiò orribilmente, ma prima di morire vide gli angeli del cielo che accoglievano le anime di Cesario e Giuliano. Parte delle spoglie di S. Cesario diacono sono conservate, dal XIII secolo, nell’urna di basalto dell’altare maggiore della basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme.
Nel 2009 Mons. Michelangelo Giannotti, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Lucca, ritrova 6 ossa del Santo nella Basilica di S. Frediano di Lucca.